Il cane riccio di Romagna sta per compiere 30 anni. E’ il Lagotto Romagnolo, il cui standard era stato approvato provvisoriamente dall’Enci (l’Ente nazionale della cinofilia italiana), razza italiana, nel 1992.
Tre anni dopo la razza sarà riconosciuta a livello internazionale dalla Fci, Federazione cinofila internazionale. La Romagna a questo punto si può fregiare di avere il suo cane. Docile, coccolone, instancabile con un fiuto incredibile e per questo è specializzato nella ricerca del tartufo, unica razza del pianeta riconosciuta con questa attitudine. Il Lagotto rappresenta la terra di Romagna, da Imola fino a Cattolica, in almeno dodici Paesi al mondo.
Si è rapidamente diffuso in Canada, Francia, Finlandia, Germania, Norvegia, Olanda, Inghilterra, Svezia, Svizzera e Stati Uniti. Alcuni esemplari sono anche in altri Stati. Nel nostro Paese ci sono solamente 17 razze di cani e una di questa è proprio il riccioluto Lagottino di Romagna che ha rischiato seriamente di scomparire per sempre dalla faccia della terra.
L’hanno salvato tra Imola e Bagnara di Romagna. Grazie, infatti, all’attività di quattro appassionati ed esperti cinofili, la razza ricominciò ad acquistare l’originale purezza, che gli accoppiamenti con altri meticci avevano in parte compromesso.
I quattro autori della rinascita della razza furono Quintino Toschi, allora presidente del locale gruppo cinofilo di Imola, Francesco Ballotta, allevatore e giudice dell’Enci, Antonio Morsiani, cinologo, giudice ed allevatore soprattutto di cani San Bernardo (razza Svizzera) e Lodovico Babini, esperto cinofilo romagnolo.
Grazie a queste persone, e a Giovanni, figlio di Antonio Morsiani, la razza si avviò verso una rinascita. Rinascita che ha il suo apice nel 1988 con la nascita del Club Italiano Lagotto. Dai pochissimi esemplari rimasti che si potevano incontrare in giro per i paesi della Romagna, non sempre identici tra loro, gli esperti sono riusciti a fissare lo standard esattamente di come era il cane, che ha una storia incredibile. Si tratta infatti di un’antica razza da riporto in acqua, presente fin dal XVI secolo, nelle valli di Comacchio e nelle lagune ravennati e diffusasi, a partire dal XIX secolo, nelle pianure e nelle colline romagnole con la specifica funzione di cane da tartufi.
Ma come ha fatto il Lagotto a guadagnare il titolo di ‘cercatore di tartufo’ se la storia ci racconta che era un gran cane da riporto di anatre e folaghe nelle valli e paludi di Comacchio quasi confinanti con la Romagna? Di certo sono stati i tartufai a fregiarlo di questo titolo. Lo volevano perché avevano capito che era eccezionale, ma c’è anche una spiegazione al fatto che si erano innamorati del riccioluto.
Tutto ha avuto origine a Fognano in provincia di Ravenna dove c’era un anziano che era un mago ad addestrare i cani da tartufo tanto che aveva smesso la ricerca del tubero perché il lavoro di addestratore rendeva molto di più, grazie alla grande richiesta di cani cercatori in quelle zone ricche di tartufo. I tartufai gli portavano un cane, l’anziano lo teneva una settimana e quando lo restituiva al padrone l’animale trovava i tartufi. Ad un certo punto l’educatore, un uomo molto alto e magro sulla settantina, chiedeva ai suoi “clienti” che gli venissero portati solo cani col pelo “ruffo”, perché diceva “sono i migliori”. La voce si sparse presto e i tartufai andavano in tutti i paesi dell’entroterra a cercare cani – all’epoca c’era molto randagismo – come gli era stato chiesto dal vecchio addestratore. I cani che cercavano erano quelli che poi diventarono Lagotti.

Gli anziani cercatori di tartufi delle zone vocate del tubero, di Cusercoli, Civitella di Romagna, di Dovadola, Brisghella e di Predappio, cercavano questo pelosone che nemmeno sapevano si chiamasse Lagotto. Sapevano però che quel batufolo dal pelo idrorepellente era eccezionale per il loro scopo. In molti, in queste terre, sono riusciti a sopravvivere alla misera vendendo tartufi. Avevano capito che questo cagnolino dall’espressione attenta, intelligente e vivace esibiva passione, forza ed efficienza. Dopo il lavoro fatto soprattutto a Imola e a Bagnara, finalmente dopo anni di impegno e lavoro degli appassionati, il 6 luglio del 2005, l’assemblea generale della Fci riunitasi a Buenos Aires in Argentina, approva definitivamente la razza a livello mondiale: il Lagotto Romagnolo, cane di media-piccola taglia, con buone proporzioni, di profilo forma un quadrato quasi perfetto. È di aspetto forte, robusto e rustico allo stesso tempo. Il Lagotto ha grandi occhi rotondi, in ogni sfumatura di colore che va dal giallo scuro al marrone scuro.
Ottimo anche da compagnia, ama giocare coi bambini. Secondo la Classificazione della Fci la razza Lagotto romagnolo appartiene al gruppo 8 che è quello dei cani da riporto, da cerca e da acqua. L’altezza del maschio non deve superare il mezzo metro, quella della femmini i 41 centimentri.
IL PRIMO ARTICOLO AL MONDO SUL LAGOTTO ROMAGNOLO FU SCRITTO DA RAIMONDO BALDONI
Nel 1990, per la prima volta un quotidiano scrive del Lagotto, sulla Gazzetta di Forlì, di Rimini, di Ravenna, all’epoca quotidiano della Romagna, uscì così il primo articolo al mondo dedicato al Lagotto Romagnolo firmato da Raimondo Baldoni.
Poco dopo l’uscita dell’articolo il giornalista Rai Roberto Zoli si interessò e mandò in onda un servizio sul Tg3 dell’Emilia Romagna con le immagini del cagnolino mentre scavava e trovava un grosso tubero di tartufo nel fosso di “Trovaluscio” di Cusercoli in provincia di Forlì-Cesena, miniera di tuberi bianchi come il Magnatum Pico, il più pregiato in Italia, perché in Francia c’è ancora chi preferisce il nero (Melanosporum Vitt). E la guerra fra il bianco e il nero continua. Il lagotto non fa distinzione a differenza dei gourmet.
Raimondo Baldoni